di
Sally Albright
Cari lettrici e lettori,
all’alba del 23 dicembre non ho ancora finito di fare i regali, il mio umore quindi alterna tra fasi ipomaniacali e depressiva, tra il “ce la farò” ed il “è tutto perduto”.
Voi dovete sapere che io adoro (o forse sarebbe meglio dire adoravo) il Natale, l’atmosfera natalizia, i pacchetti, il calendario dell’avvento, insomma sono proprio il soggetto target di tutte le campagne pubblicitarie, in quanto non solo faccio un sacco di regali ma poi mi lascio emozionare dai colori, dalle luci e dalle storie che possono stare dietro ad ogni piccolo pensiero.
Tipo l’anno scorso ho pensato di regalare il tempo, non è comunque servito ad avere ciò che volevo, ma sicuramente sarà una bella storia da raccontare ai posteri.
Il problema è che quest’anno, non so per quale motivo, la lancetta del mio entusiasmo è proprio a terra e quindi anche la mia fervente fantasia non mi ha aiutato a trovare i regali azzeccati.
Mi sto ponendo i grandi interrogativi della vita a quali ovviamente non ho alcuna risposta, ma che comunque mi fanno galleggiare in uno stato di malessere imperante e che mi assorbono facendomi perdere tempo ed energie per creare idee geniali per i cadeaux.
Poi ci si mettono gli orgogliosi, quelli che preferiscono buttare tutto pur di far vedere che hanno vinto e poi in realtà sono i primi tra i perdenti e così non riesco a fare ciò che dovrei, ossia preparare i pacchetti da consegnare in vista dello scoccare della mezzanotte del 24 dicembre.
Molte delle persone che sono vicine a me hanno queste caratteristiche ed io continuo a provare una grande pena per loro perché, se solo fossero in grado di fare un passo indietro, di trovare il bello in quello che c’è, anche se non era così come l’avevano disegnato nelle loro aspettative, si potrebbero rendere conto di quanto ancora c’è da costruire.
Ed invece, si rimane trincerati dietro muri di silenzio, con comportamenti incoerenti a volte pure romantici, ma senza essere mai capaci di andare avanti.
Nelle mie cogitazioni mattutine ho riflettuto sulla totale immobilità delle cose, sulla incapacità patologica di prendere decisioni o proporre iniziative, pur sapendo che sarebbe doveroso farlo.
Come spesso mi accade ho ripescato da un cassettino della memoria un termine in grado di sintetizzare tutto questo: “abulia”.
L’abulia viene definita dal dizionario come “la mancanza o insufficienza di volontà nel prendere una decisione o eseguire un’azione”. Deriva dal greco ed un termine composto dal prefisso privativo a- (senza) e da boulé (βουλή), che significa “volontà” o “consiglio”, quindi letteralmente “mancanza di volontà” o “assenza di volere”.
Del tipo, so cosa devo fare, ma non riesco a farlo. ( Un po’ quello che mi succede quando devo sparecchiare, tento sempre con la forza del pensiero…).
Detto questo, nelle mie vite parallele che aleggiano nella mia mente, mi sono prefigurata una fantastica conversazione (fantastica perché rimarrà per sempre nel modo delle idee) in cui al posto di fare grandi giri di parole che poi avrebbero l’unica conseguenza di offendere mi limiterò a dire: vedo che il tuo stato patologico di abulico non è cambiato….
Con questo vi auguro delle fantastiche feste.
Sentitamente Vostra,
Sally