Come spiego al mio capo che la cosa migliore sarebbe… non avere un capo?

Care lettrici,
cari lettori,

oggi ho lasciato Milano, allagata e ancora più caotica del solito per via della Fashion Week.
Mentre correvo verso la stazione, ho incrociato ragazze altissime, bellissime e soprattutto magrissime: visioni che mi hanno fatto pensare quanto sia immorale non prevedere una redistribuzione — non dico solo delle ricchezze, ma almeno delle fortune — a favore di chi ne ha meno.

Il mio umore, già pessimo per la pioggia, la folla e quella gente stordita che alle sette del mattino intasa le uscite della metro parlando (cosa che, francamente, meriterebbe essere costituzionalmente abolita…), è precipitato ancora di più davanti a queste apparizioni: un promemoria spiacevole della mia scarsa fortuna su certi fronti.

Finalmente salgo sul Frecciarossa. Mi metto le cuffie, cambio playlist: quella che ascoltavo da mesi ormai mi scatena istinti omicidi verso chi me l’ha condivisa. Opto per un rassicurante “Best of Vivaldi”, sperando che Le quattro stagioni riescano a risollevare una giornata iniziata decisamente male.

Leggo, sistemo un paio di mail, do un’occhiata alla presentazione che ho preparato sui modelli a-gerarchici. Mi dico che sarebbe bello, in un mondo ideale, rendere conto solo a se stessi, organizzarsi liberamente, senza che qualcuno ti piazzi una call proprio mentre avevi appuntamento dall’estetista (storia vera). Una piccola rivoluzione contro il potere precostituito.

Ma ecco il problema: come spiego al mio capo che la cosa migliore sarebbe… non avere un capo? Provo a imbastire un discorso accattivante, ma l’idea di “abolire le gerarchie” non suona molto vendibile.

Guardo fuori dal finestrino: paesaggio grigio, alberi, foglie. Non so perché — dato che il giardinaggio è forse meno nelle mie corde della coreutica — mi viene in mente il cosiddetto rizoma.
Un fusto perenne, sotterraneo, ricco di sostanze di riserva, simile a una radice ma con foglie ridotte a squame. La sua particolarità? Essere fatto di nodi uniti ma autonomi: una realtà organica, connessa ma senza centro, senza gerarchia, che si sviluppa orizzontalmente invece che verticalmente.

Ecco la chiave della mia presentazione: il modello rizomatico.
Cerco con entusiasmo conferme su google e con un pò di rammarico scopro subito dopo di non aver inventato nulla — Guattari, Deleuze e persino Umberto Eco ci hanno già costruito sopra intere riflessioni. Poco male.

Vado dal mio capo, illustro la mia idea, pronuncio “rizomatico” almeno tre volte con grande convinzione lui mi restituisce grandi sorrisi e pacche sulle spalle. Probabilmente non ha colto che, adottando davvero questo modello, non dovrei più passare da lui per esporre un’idea.
Il progetto viene approvato. Un addio in grande stile, insomma.

Ancora una volta: dieci punti (cit.) alle parole.

A presto.
Sentitamente Vostra,
Sally

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