Lo stress, le persone attorno a noi, il lavoro, il carico di impegni eccessivo non riconosciuto: sono queste alcune delle cause che comportano lo sviluppo del burnout emotivo.
Il termine stesso “burnout” è una parola di origine inglese, il cui significato è “esaurito”, “bruciato”, una descrizione precisa dei sintomi provati dal paziente affetto dalla sindrome, in particolare il senso di demotivazione nei confronti del prossimo e delle attività quotidiane, in particolare quelle lavorative.
I dati parlano chiaro: secondo uno degli ultimi rapporti formulati dal Censis tale condizione coinvolge il 31,8% dei lavoratori dipendenti e il 47,7% dei giovani. Tuttavia, conoscere la sindrome è il primo passo per gestirla nella maniera opportuna.
Scopriamo attraverso la lettura quali sono i fattori di rischio legati al burnout emotivo e soprattutto quali sono gli strumenti migliori per gestire la sindrome.
Tra i maggiori fattori di rischio legati allo sviluppo del burnout emotivo troviamo la personalità, in particolare le persone dall’atteggiamento più competitivo e ambizioso, il sovraccarico lavorativo, spesso responsabile dell’aumento dei livelli di cortisolo, l’ormone dello stress, il senso di incertezza costante, dettato da regole di lavoro ferree o da una mancata regolamentazione organizzativa, lo scarso riconoscimento lavorativo e il confronto con i pari, che possono essere sia gli studenti di una classe sia i colleghi dell’ufficio.
La diagnosi di burnout emotivo arriva quando il paziente presenta queste tre caratteristiche sintomatologiche, ovvero ridotta, o mancata, realizzazione personale, il senso di sfiducia verso il proprio operato, esaurimento emotivo, il sentirsi scarico dal punto di vista emotivo e personale, e depersonalizzazione, la ricerca costante del distaccamento emotivo, con il rifiuto del confronto con gli altri.
Il burnout emotivo è una sindrome davvero invalidante per chi ne soffre, ma riconoscerla, nelle sue cause e nei suoi sintomi, è il primo passo da compiere per stare bene. Riconosciuta l’entità del malessere è infatti possibile trovare conforto nella psicoterapia cognitivo-comportamentale.
Nel corso dell’analisi lo psicoterapeuta può interagire col paziente in modo individuale, aiutandolo a gestire il senso di stress e ad acquisire una maggiore consapevolezza verso gli schemi di personalità adottati.
L’esperto potrà inoltre fornire al paziente delle strategie comunicative efficaci, che favoriscano l’acquisizione di nuovi schemi di apprendimento. In questo modo il paziente impara a gestire, nella maniera corretta, il contesto lavorativo, senza ricadere nelle dinamiche comportamentali tipiche della sindrome.